mercoledì 14 settembre 2011

Saluto e mi allontano. Volto la schiena e mi allontano. Alzo i tacchi cammino faccio qualche passo mi fermo l'avrò detta quella cosa quella cosa l'avrò detta e se non l'ho detta come la prenderà cosa penserà di me forse penserà che ho fretta che sono distratta non che sono maleducata e egoista ma l'ho sicuramente detta quella cosa io non ne sono certa provo subito a telefonare scusa sai non sono sicura ma ti ho salutato prima? No scusa sai è che sono così distratta non vorrei sembrarti trascurata. Ma guarda che mi hai salutato più volte. Ah scusa scusa è che ho tanti pensieri per la testa e scusa penserai che sono una stupida. No figurati sì certo che lo pensa però almeno adesso sono sicura che ho detto ciao cioè non so se ho detto ciao o buonasera o magari buona serata e avrò detto a domani? Cioè l'appuntamento di domani sarà chiaro? Ma lo vedremo domani. Se non viene vuol dire che non ci siamo capiti. Già. Sono stata svagata non ho posto attenzione a tutte le parole una per una ci siamo salutati all'inizio ho chiesto come stai? Per non essere considerata troppo egoista. Ho ascoltato la risposta? Non mi ricordo come sta. Avrà detto bene insomma si va avanti come sempre più o meno bene sì bene dai. Cosa può aver detto? Mi sarei ricordata se avesse detto qualcos'altro. Sì insomma una malattia o magari la nascita di un figlio o di un gatto o un trasloco. Avrò chiesto come sta la sua famiglia. Avrà capito che non mi interessa. Ma io non devo aspettare solo le informazioni che mi interessano e io cosa avrò risposto? Non ricordo se mi ha chiesto come sto. Ma se l'ho chiesto io non vedo perché debba aver ricambiato per forza. Sennò sembra che uno lo faccia solo per educazione e non sta bene. Se uno chiede deve chiedere davvero e non solo per forma. Quindi se l'ho chiesto io non è stato chiesto a me. Forse mi comporterei così o forse no non farei così. E se non l'avessi chiesto per prima? Se fossi stata io la seconda? Resta il fatto che non ricordo se l'ho chiesto. Cos'è che volevo sapere. Di così importante. Non lo ricordo ma se era così importante perché non lo ricordo? Provo a ricostruire l'incontro e tutta la conversazione. Si sarà accorto che volevo evitarlo. Ho fatto un sorriso forzato? Ma lo faccio sempre anche se sono contenta perché non sono mai contenta quindi il sorriso è comunque forzato. Non è perché non voglio incontrare qualcuno comunque l'avrei voluto evitare è chiaro. Quindi se ne sarà accorto. Ho tenuto i piedi voltati verso la direzione che volevo percorrere? Come per andare via? Il mio sguardo ha scavalcato il suo viso lo ha attraversato mi sarò voltata al più impercettibile rumore? Dunque avrò sorriso e salutato un saluto qualunque. Nessun contatto fisico questo credo di ricordarlo. Non potrei dimenticarlo. Oppure. Saltiamo i saluti. L'avrò guardato negli occhi un momento. Non ho chiesto come sta ho chiesto come va. Più neutro. Se l'ho chiesto ho chiesto come va. I capelli un po' troppo lunghi. Ai lati e la barba di qualche giorno e gli occhi un po' arrossati ma c'è vento c'è vento e anch'io sento bruciare gli occhi sulla passerella pedonale che attraversa la ferrovia e da cui a un certo punto si vede solo il cielo. E allora quello che volevo sapere riguardava forse qualcun altro o qualcos'altro sul passato o sul futuro forse su dove stava andando. Era solo una curiosità nel caso. Ci sono altre informazioni di grande importanza che avrei potuto chiedere e sicuramente le ho chieste. Ero distratta anche dal torcicollo e da una sensazione di gonfiore al viso. Penso che avrò tastato le guance più e più volte senza rendermene conto e sicuramente non avrò ascoltato. Perché io non ascolto quasi mai. Perché mi concentro sulle sensazioni e non riesco a fare due cose contemporaneamente. Mi sa che aveva fretta e avrà detto ci sentiamo presto o ci vediamo domani e parliamo un po' e allora l'avrò salutato ancora. Certamente se me l'ha detto anche al telefono vuol dire che è vero a meno che non l'abbia fatto per non farmi sentire troppo stupida. Ma si sarebbe fatto una risata se non l'avessi salutato e poi l'avessi chiamato per salutarlo perché uno non se la prende se non viene salutato senza motivo. Mica ce l'ho con lui. Non abbiamo mica litigato. Non ci siamo detti nessuna parola cattiva. Nessuna allusione nessuna ferita nemmeno un peccato veniale. E se avessi fatto una gaffe come capita spesso non ho alcuna delicatezza nel trattare argomenti intimi e. Ma non mi sembra che abbiamo affrontato discorsi troppo personali forse abbiamo parlato del vento delle nuvole del tempo incerto e di quanto era strano incontrarsi proprio lì. Che poi perché strano. Ma questo lo penso io. Sono solo ipotesi bisogna che le metta tutte in fila una per una tutte le possibilità e che scarti quelle più improbabili e mi tenga quelle più probabili. Ecco e poi avrò una sintesi veritiera della nostra conversazione. E forse le informazioni che avrei voluto avere. Forse sono nascoste da qualche parte e adesso mi sfuggono. In quei fili di capelli fuori posto unti. Di chi non ha dormito a casa. Ma questo non è stato oggetto di conversazione. D'altronde io andavo a fare la spesa e l'avrò detto di sicuro. Che fai vado a fare la spesa. Questo è certo. Vado a fare la spesa. E ho la lista in tasca e questa è la cosa più importante che ho da dire. Sicuramente l'ho detta. Certo traspare una certa malinconia per come la vedo io sono sicura che avrà pensato quanto è triste una che non ha che da dire che va a fare la spesa. Già. A me i supermercati piacciono e non devo parlare con nessuno non chiedere non rispondere. Prendere lasciare riprendere pagare. Niente da registrare. Io amo le cose semplici ma non come pane e olio. Piuttosto come un programma televisivo di cui non ti perdi niente. Non rischio di perdermi niente. Io ho paura di perdermi troppe cose tra quelle che mi stanno intorno e quelle che mi camminano accanto e ora ho il pensiero dei tubi che perdono sotto il lavandino della cucina per questo non riesco a ricordare. Sono poche gocce ma non riesco a ricordare. Se fosse accaduto qualcosa me lo ricorderei. Se mi fosse caduto qualcosa dalla borsa me lo ricorderei io non perdo niente. Perdo parole. Ma perché non sto attenta alle voci. È l'incertezza secondo me che rende difficile ricordare. L'incertezza di aver capito in quel preciso momento. Il chiedersi sempre in quel preciso momento se ho capito bene. E questo mi fa perdere le parole successive e poi quelle successive e poi ancora e ancora. Non riesco più a recuperarle. Comunque ora so che ho salutato andando via perché l'ho chiesto e forse potrei chiedere altro. Tutte quelle gocce, una dopo l'altra, infinite, rimangono sospese e cadono, rimangono sospese e cadono. È la stessa goccia? Potrei chiedere di cosa abbiamo parlato. Ma di niente di niente. Mi risponderà. Proviamo. Forse mi risponderà così. Abbiamo parlato di niente. Non ti preoccupare. Non mi preoccupo. Io domani non vado. Non credo che ci sia un appuntamento. E non lo chiedo. Sicuramente mi sbaglio. L'autunno mi cola dentro il cranio. Gonfia, si dilata come una spugna. Io voglio guardarlo dai vetri. Essere spremuta via.


Chet baker Autumn leaves

martedì 6 settembre 2011

L'orribile, quand'è ingenuo e leggiadro, è una categoria poetica per palati raffinati.

Ancora non ne ho incontrato uno.

Che potesse amarmi per le gengive e le unghie dei piedi marce.


Appagata, sorpresa di pavoneggiarmi e vendermi in una vetrina colorata, Barbie gigantesca dalle molteplici sfumature: ché i capelli grigi con la tintura nero-blu prendono solo il blu; ché gli occhi sono verdi ma anche ambra; ché la pelle è bianchissima ma il viso si arrossa subito con il sole, il sudore e la pioggia; ché sto muta e fissa come una bambola sul letto senza abito di pizzo.

Impolverata di sconti stagionali, sopra velluto rosso, di fronte a un giardino con bambini-genitori-ragazzi nudi al vento, unti di olio abbronzante sotto un cielo che cambia spesso.

Dietro il culo dell'orso, nella speranza di essere risucchiata da qualche potente effetto generato dalle sue flatulenze, come nel tubo di una onanistica underground.
Sollevata dal sentimento di finire i miei giorni in qualità di butt plug, verso sera, sulla strada, mi sfilano davanti le mie paure sdentate e sorridenti. Alcune fanno il segno della croce, altre il saluto militare. Nessun segno di rispetto. Sono io, visione grottesca per loro.

Denudata, pasto di cadavere arrugginito dallo stare troppo fermo, pelle disegnata in arabeschi di incisioni pennellate di mercurocromo, capelli impastati intrecciati di intestini di pesce, posso affermare che, se avessi due tette normali, mi sentirei a mio agio in questo anfratto carnoso, invece ho due mammelle di vacca piene di vermi che si affannano a succhiare latte, già panna acida da vendere per la nouvelle cuisine.

Le possibilità infinite del mio corpo mi annebbiano, mi ubriacano, si affollano urlanti alla porta dopo l'orario di chiusura.

Mi alzo, apro, sono affogata da un nugolo di coccinelle portafortuna che, svolazzanti, mi agguantano la pelle senza lasciarne un millimetro scoperto e mi salvano da un'altra noiosissima serata. Armata di cucchiaio e martello, mi batto ritmicamente ogni parte del corpo.

Le dolci fatine colorate si alzano in volo per poi posarsi di nuovo, ferme nel loro proposito di felicità. Non mi scoraggio e non smetto finché non le vedo ai miei piedi in una pozzanghera rossa e nera, scricchiolante e ancora parzialmente vitale.

Ascolto piccole ali che frullano, poi niente.

Raccolgo zampette, ali e testoline con pazienza amorevole in una ciotola di coccio.

Cotte in acqua e zucchero, saranno la marmellata per la mia colazione dei campioni.

Durante la preghiera della buonanotte, esprimo gratitudine per l'opportunità di vivere addomesticata dal sonno.




Berlin Lou Reed