mercoledì 27 aprile 2011

Spielothek

1.
Ascolto colonne sonore di film non visti. Sul tavolo, di fronte a me, un tovagliolo stropicciato di carta rossa, una busta di nylon annodata (dentro, briciole di pane integrale), un bicchiere da birra con due dita di infuso di arancio e ginger, un bicchiere pieno di vino bianco, una ciotola di ceramica verde, vuota, con tracce minime di pomodoro e parmigiano (dentro, una forchetta, leccata con cura). Più lontano, sul tavolo, un libretto di Beckett, due telefoni, un accendino di plastica trasparente, fucsia, un pacchetto di sigarette, arancione, candele alla vaniglia, quaderni, volantini di varia provenienza, caramelle gommose a forma di pesce e molte altre cose che non mi appartengono. Vorrei mettere in valigia questo tavolo lunghissimo e trasparente, con tutto il suo contenuto, e le finestre di fronte a me, con il buio ricamato di rami neri e, in fondo, sulla sinistra, quelle luci intermittenti che mi avvertono, mi parlano, mi avvertono che questo tempo sta per finire.
Mi sono fatta la carta d'identità nuova, quella simile a una carta di credito. Ha anche la custodia. Ho un altro rettangolo di plastica colorata che si aggiunge alle tessere di appartenenza e riconoscimento che possiedo. Le vorrò tutte con me, nella bara. Saranno le uniche cose rimaste quando dovranno rivoltare la terra per spostare le mie ossa e, allora come adesso, non sarò io a essere riconosciuta, chiamata e risarcita per i punti che ho accumulato e i crediti che penso di poter vantare. Passo le mie sere ad aspettare cose, persone mai arrivate.
Un'orchidea rosa, caduta sul pavimento, ha chiuso la sua vagina per sempre. Tento di aprirla con le dita e si richiude ostinatamente. Strappo la sua saracinesca di carne. La lascio, nuda, a sbiadirsi di ruggine, anche lei distesa sul tavolo trasparente.
L'ultimo pezzo è una rumba. Ho ancora un filo di voce per pensare.

2.
Il bello di quei momenti era non pensare a niente. Svuotarsi, finalmente, di ogni futuro, aspettare, prestarsi. Nel tempo, ho mancato anche a questa disciplina. Adesso mi riduco all'offerta di prestazioni prive di quella concentrazione assente, ostinata e lasciva, necessaria come invito ad agire. Adesso è una resa senza invito.
Il bello di quei momenti era sentirsi protetti da una pazienza infinita, una lieve attesa di silenzio e stanchezza, spossatezze che arrivavano dopo lunghi sforzi di riconoscersi nella ripetizione e rimettersi a posto, ogni volta. Adesso basta solo che non finisca.
Voi avevate paura, io pazienza. Di una bambola di cera da sfigurare e ricomporre a piacimento, una sposa di Cristo in estasi, tra lampi dorati.
Quello che mi ha sempre fregato, è il bisogno. E i film di fantascienza degli anni '50. Immaginavo che fosse così anche per me, diventare una levigata replica bionda dalle pupille bianche.
Il mio silenzio l'ha resa invincibile.

3.
Ascolto blaterare una bionda truccata di rosa. Di fronte a me, sul tavolo, una bottiglia di olio extravergine d'oliva, un barattolo di melanzane sottolio, una bilancia per alimenti, rossa e bianca, due pere Williams rosse, una bottiglia di plastica piena a metà di acqua naturale, due bicchieri vuoti, mattonelle bianche con ricami verdi, schizzate di cibo frullato. Alla mia sinistra, una finestra con la tapparella abbassata.

venerdì 22 aprile 2011

Ovunque mi trovi, un mutismo inarticolato mi insegue. Sui margini dei binari mentre il vento risucchia l'ultimo treno. Sulle note alte di "Little girl blue", seduta, composta sulla panchina di legno, al bordo del terrazzo di una casa tra le tante. Su un lenzuolo rosso macchiato di liquidi non miei. Sulle cime degli alberi fioriti stanotte. Di fronte a una luna abbagliante come una stella lontanissima e inesistente, ormai.
Quando si sceglie di tacere, non si può cambiare idea e mettersi a parlare, all'improvviso.

mercoledì 6 aprile 2011

I sacrifici di carne e sangue, buoni per condire gli spaghetti, i gomiti sorretti da pile di libri da annegare, prendono i miei giorni di pace prima di sparire.
Foglie di menta nel bicchiere, pronte a tutto, si dirigono al caldo o al freddo, senza perdere colore.
Nel cielo, i capitali riscaldano l’est.
Si impara a parlare, aspettando.


(Un po' di tempo fa, certo, ma sto per partire di nuovo. Torno.)

lunedì 4 aprile 2011

C'era sempre tanta musica nell'aria

Allora potevamo andare sul lungomare, fermare la corriera e dire: “Fedeli alla linea!”, alzando il pugno. L'autista rideva e ci faceva salire senza biglietto.
Io, per sempre devota, la prima della classe di devozione, mi affidavo agli oroscopi.
Pianificavo fughe. Che non si possono decidere. Nemmeno per idea.
Sono ancora qui. Aspetto qui, ancora.
Il sole mi deposita cipria ipoallergenica sul naso.
Mai avuto biglietti e nemmeno inviti.
Aspetto ancora di giocare a nascondino tra i sedili.
Aspetto ancora l'esplosione di una bomba libera tutti, con decoro di brandelli bianchi e rossi.
E poi una corsa verso il delirio acuto di mille vetri schiacciati per strada.
Com'era quella cosa della carneficina totale? Quella di Sylvia Plath.
La tiro fuori periodicamente.
Quanto abbiamo bisogno di una carneficina totale.
“Quanto è incontrollabile il desiderio di carneficina totale che ognuno di noi nutre...”, ecco.



Non so dei vostri buoni propositi
perchè non mi riguardano
esiste una sconfitta
pari al venire corroso
che non ho scelto io
ma è dell'epoca in cui vivo
la morte è insopportabile
per chi non riesce a vivere
la morte è insopportabile
per chi non deve vivere
lode a Mishima e a Majakovskij
tu devi scomparire
anche se non ne hai voglia
e puoi contare solo su di te
PRODUCI CONSUMA CREPA
SBATTITI FATTI CREPA
PRODUCI CONSUMA CREPA
CREPA
RIEMPITI DI BORCHIE
SBATTITI FATTI CREPA
ROMPITI LE PALLE
COTONATI I CAPELLI
RASATI I CAPELLI
CREPA CREPA CREPA CREPA


(Morire, CCCP - Fedeli alla linea)